Summary: | Questa tesi si prefigge di evidenziare, nell’ambito dei diversi quadri teorici e critici di riferimento, i nessi tematici che legano a doppio filo morte, memoria e narrazione nell’opera di Julian Barnes, nonché di verificare come tale opera sia attraversata dall’ossessione dell’autore per il pensiero della fine nelle sue molteplici forme, a partire dal disimpegnato Metroland sino ad arrivare al più recente The Noise of Time, il cui protagonista Šostakovič addirittura teorizza su come affrontare la paura della morte. Davanti alla “finestra che dà sul niente”, Barnes adotta un atteggiamento di risoluto distacco, anche quando si trova a parlare della scomparsa dell’amatissima moglie o quando affronta il pensiero della sua stessa dipartita. A ben vedere, però, questa imperturbabile razionalità – vera cifra dell’opera barnesiana – ne rappresenta anche il più grande limite: nell’affrontare le tematiche a lui care (la paura dell’annichilimento, la riflessione sul passato, il ruolo dell’arte per affrontare la vita e la morte, la fallibilità della memoria, la ricerca della verità, il restringimento dell’orizzonte delle possibilità che caratterizza la vecchiaia), lo scrittore tende privilegiare un freddo raziocinio e raramente supera il mero approccio filosofico-razionale prendendo contatto con la sfera delle emozioni. Lo stesso si può dire dei suoi personaggi. Il pit-gazing, la fissità dello sguardo vacuo, a capofitto nel buio del nulla di fronte al quale, pur riconoscendo la propria sconfitta, Barnes si ostina a insistere nella riflessione, tende a rivelarsi una scomoda zavorra per la sua poetica non meno che – possiamo azzardarci a supporre – per la sua stessa vita interiore. === This thesis purports to analyse, within the relevant theories and critical frameworks, the themes of death, memory and narration in Julian Barnes’s fiction and non-fiction. The author’s obsession with ‘the sense of the end’ in its various forms, evident since the times of Metroland (1980), informs also his latest novel, The Noise of Time (2016), whose protagonist, the Russian composer Šostakovič, theorises upon how to cope with the terror of death. Throughout his career, Barnes’s attitude towards the thought of annihilation is one of aloofness, even when he muses over his own death (as in Nothing to be Frightened of) or his beloved wife’s (as in Levels of Life).
This cerebral attitude, though, seems to represent a limit: when dealing with the issues that most concern him (i.e. fear of death, the retrieval of the past, the role of art when coping with life and death, the fallibility of memory, the search for truth, the limitations of old age), Barnes resorts to rationality and philosophical reasoning, and seldom chooses to explore feelings and emotions. The same happens with his characters, from Geoffrey Braithwaite in Flaubert’s Parrot (behind whose search for the “real” Flaubertian parrot lies an attempt to understand his wife’s suicide) to Tony Webster in The Sense of an Ending (who tries to grasp the sense of Adrian’s death and ends up re-defining his own life) and Jean Serjeant in Staring at the Sun (who looks at the prospect of death with serenity). Barnes’s engagement in pit-gazing leads him to realise there is no sense in an ending and proves to be dead weight for his writing as well as – we might imagine – for his inner life.
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