Il tema del suicidio nel primo Svevo tra etica, psichiatria e scienze sociali
Questo saggio si propone di verificare sul testo dei capitoli finali del romanzo Una vita (1892), al di là della fondamentale ispirazione schopenhaueriana dichiarata dall’autore e già largamente verificata dagli studiosi, la convergenza con una serie di studi e teorizzazioni sul suicidio proposti d...
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doaj-f3b8665793654133b7ebdc91fc19961a2021-06-11T12:20:05ZengUniversità degli Studi di CagliariBetween2039-65972021-05-01112110.13125/2039-6597/4384Il tema del suicidio nel primo Svevo tra etica, psichiatria e scienze socialiMario Sechi Questo saggio si propone di verificare sul testo dei capitoli finali del romanzo Una vita (1892), al di là della fondamentale ispirazione schopenhaueriana dichiarata dall’autore e già largamente verificata dagli studiosi, la convergenza con una serie di studi e teorizzazioni sul suicidio proposti da medici e sociologi di fine Ottocento, da Enrico Morselli (1879) a Émile Durkheim (1897). Nella rappresentazione della coazione suicidaria del personaggio romanzesco, appare evidente l’incidenza di dinamiche non conscie di adempimento dell’imperativo morale, in cui sempre si riflette e si maschera, come Freud dimostrerà in Lutto e melanconia (1917), il narcisismo autodistruttivo del soggetto. La dimensione comparatistica di questo lavoro attiene alle convergenze tematiche ed epistemologiche tra discorso narrativo e discorso filosofico-scientifico, al di là di ogni schematica ipotesi di derivazione o di influenza dell’uno sull’altro o viceversa. Per certi versi la progressiva messa a punto del carattere dell’inetto, cui Svevo attende già dagli esordi, e che condurrà alla teorizzazione dell’”abbozzo” (1907), ossia del tipo umano non fissato e non adattato alla norma, e capace proprio perciò di adattarsi continuamente ai processi evolutivi della società moderna, combacia in punti rilevanti con le ipotesi avanzate da Durkheim a proposito della moderna nevrastenia, e ben si accorda con l’impostazione del citato saggio di Morselli, che fu il primo a prospettare l’interpretazione del suicidio anche e soprattutto come fenomeno sociale. https://ojs.unica.it/index.php/between/article/view/4384Romanzo di analisiPsichiatria e antropologiaSchopenhauerSvevoFin de siècle |
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Questo saggio si propone di verificare sul testo dei capitoli finali del romanzo Una vita (1892), al di là della fondamentale ispirazione schopenhaueriana dichiarata dall’autore e già largamente verificata dagli studiosi, la convergenza con una serie di studi e teorizzazioni sul suicidio proposti da medici e sociologi di fine Ottocento, da Enrico Morselli (1879) a Émile Durkheim (1897). Nella rappresentazione della coazione suicidaria del personaggio romanzesco, appare evidente l’incidenza di dinamiche non conscie di adempimento dell’imperativo morale, in cui sempre si riflette e si maschera, come Freud dimostrerà in Lutto e melanconia (1917), il narcisismo autodistruttivo del soggetto.
La dimensione comparatistica di questo lavoro attiene alle convergenze tematiche ed epistemologiche tra discorso narrativo e discorso filosofico-scientifico, al di là di ogni schematica ipotesi di derivazione o di influenza dell’uno sull’altro o viceversa. Per certi versi la progressiva messa a punto del carattere dell’inetto, cui Svevo attende già dagli esordi, e che condurrà alla teorizzazione dell’”abbozzo” (1907), ossia del tipo umano non fissato e non adattato alla norma, e capace proprio perciò di adattarsi continuamente ai processi evolutivi della società moderna, combacia in punti rilevanti con le ipotesi avanzate da Durkheim a proposito della moderna nevrastenia, e ben si accorda con l’impostazione del citato saggio di Morselli, che fu il primo a prospettare l’interpretazione del suicidio anche e soprattutto come fenomeno sociale.
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