Summary: | Il contributo mira a interpretare l’assenza della fotografia fondante il discorso saggistico di La Chambre claire (1980) di Roland Barthes come una forma di un’autocensura particolarmente significante a fini della struttura dell’opera. La tesi è che la scelta di non mostrare la fotografia della madre comporti tutta una serie di effetti del testo, in particolare riguardo il suo duplice dislocamento da una prospettiva generica tra saggio e romanzo.
Dapprima, un approccio genetico all’opera ripercorrerà la storia della fotografia del Giardino d’Inverno come la vera sorgente del saggio di Barthes. Poi, un’analisi testuale ritroverà le tracce e le apparizioni della sua mancanza. Infine, l’analisi dell’apparato fotografico istituito dall’autore a sostegno dell’invisibilità della foto materna mostrerà come non sia del tutto vero che tale foto non appaia in un formato proprio dell’immaginario, anche se essa è frammentata e dislocata secondo diverse modalità visive e discorsive.
A tal punto, facendo leva sugli studi di Freud sulla censura psichica e sulla critica diretta di Sartre, si individueranno tre forme diverse di autocensura nell’opera di Barthes, disposte nondimeno gerarchicamente: un’autocensura mediatica, che mira a sottrarre tale immagine dal mercato degli oggetti visivi all’epoca dei media; un’autocensura romantica, fondata su una concezione metafisica e mistica del soggetto fotografico; e una contro-censura di cui parla lo stesso Barthes, nei termini di un discorso paradossale che sfugge alla stessa autocensura grazie all'intervento attivo della coscienza immaginifica del lettore.
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