Summary: | Gli studi economici aziendali applicati alla valorizzazione del cultural heritage in Italia falliscono, se alterano il proprio statuto disciplinare, se non si attengono al getting things done, se non hanno chiara cognizione del significato di “valorizzazione” e di “bene culturale”e della loro possibile interazione, se mancano di attrezzi concettuali, lessicali e storiografici specifici per interloquire con i responsabili politici e tecnici del settore, se non si focalizzano sull’attuale contesto italiano riconoscendone le peculiarità. Soddisfatte queste precondizioni, l’interesse dovrebbe anzitutto rivolgersi sia alle strategie e al prodotto delle organizzazioni deputate alla valorizzazione, non arrestandosi sulla soglia del sancta sanctorum umanistico, sia ai vincoli che normalmente le condizionano, per verificare la loro effettiva capacità di creare valore, senza essere fuorviati dall’archetipica contrapposizione fra economia e cultura e dalla astratta categoria dei beni di merito.
In Italy the application of business economics to the enhancement of cultural heritage fails, when it distorts the disciplinary statute of economic sciences, when it does not get things done, when it has not clear the meaning of “enhancement” and of “cultural heritage” and their possible interaction, when it does not use the specific conceptual, lexical, historiographical tools to interact with the policy makers and the cultural experts, when it does not focus on the peculiarity of the present-day national context. After satisfying these preconditions, business economics should address to the strategies, to the product and to the bonds of organizations whose mission is the enhancement of cultural heritage. Moreover, it should not stop sancta sanctorum. In order to verify the effective ability to create value, it should not be misled by the archetypal opposition between economics and culture and by the abstract category of merit goods.
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