Colonne sonore di vagabondaggi

La colonna sonora che aveva accompagnato i miei due viaggi nel Deserto Rosso dello Utah meridionale e sugli altipiani del Panhandle1 texano durante l’estate del 2007 prese forma attraverso ripetuti ascolti degli album Garden of Ruin (2006) e Feast of Wire (2003) dei Calexico e di Thirteen Cities dei...

Full description

Bibliographic Details
Main Authors: Stephen Tatum, Erminio Corti
Format: Article
Language:English
Published: Department of Foreign Languages and Literatures at the University of Verona 2016-06-01
Series:Iperstoria
Online Access:https://iperstoria.it/article/view/531
Description
Summary:La colonna sonora che aveva accompagnato i miei due viaggi nel Deserto Rosso dello Utah meridionale e sugli altipiani del Panhandle1 texano durante l’estate del 2007 prese forma attraverso ripetuti ascolti degli album Garden of Ruin (2006) e Feast of Wire (2003) dei Calexico e di Thirteen Cities dei Richmond Fontaine, pubblicato nel luglio di quello stesso anno e registrato a Tucson con la partecipazione di numerosi musicisti legati al progetto Calexico. Come nei due album che hanno preceduto e seguito Thirteen Cities, alcuni paesaggi sonori dei brani di questo disco rivelano l’influenza di gruppi cowpunk losangelini attivi alla metà degli anni Ottanta, come i Green on Red e i Long Ryders. Invece altri brani – soprattutto “Lost in This World” e “The Kid from Belmont Street” – evocano la produzione discografica degli anni Settanta dell’ex Byrds Gene Clark, o il brano “Lost Weekend” dei Wall of Voodoo, seconda traccia di The Call of the West, pubblicato nel 1982. Ad ogni modo, mentre entravo in sintonia con la musica dei Richmond Fontaine grazie all’album Thirteen Cities, il brano “The Kid from Belmont Street” mi rivelò il DNA di quello che considero l’universo lirico e sonoro della band guidata da Willy Vlautin. In questa canzone, ad esempio, l’io lirico osserva un ragazzino “confuso” in procinto di salire in macchina con uno sconosciuto, un ragazzino che non ha ancora l’esperienza sufficiente per sapere “che cosa significa non fidarsi di nessuno” – ovvero, secondo il giudizio del narratore, il quale afferma di “esserci passato anche lui”, a suo tempo, che non ha ancora imparato a proprie spese che ci sono cose che “ti ossessioneranno e ti distruggeranno”. È come se nel momento in cui osserva ciò che sta accadendo in quella strada del West l’io lirico sperimenti – attraverso l’intermediazione di un giovane isolato e senza fissa dimora che rappresenta il suo “doppio” – l’inquietante ritorno nella sua coscienza di un evento traumatico represso.
ISSN:2281-4582